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chi siamo

CIPì siamo noi. Un collettivo di insegnanti precari/e e inoccupati/e della scuola secondaria superiore. Noi che abbiamo studiato, ci siamo laureati, specializzati, dottorati, masterizzati, convinti/e che il nostro sapere e la nostra umanità potessero assumere un giorno un ruolo e un valore sociale. Ci troviamo, invece, ad essere la prima generazione che ha meno diritti, meno speranze e meno futuro di quella che l’ha preceduta. CIPì ne vuole discutere con tutti, nelle piazze, nelle assemblee, nelle scuole, nelle università, nel nascente movimento di difesa dell’istruzione pubblica in particolare e della giustizia sociale in generale.CIPì siamo noi, ma soprattutto siete voi: colleghi insegnanti precari/e e inoccupati/e, che vogliono imparare (ancora, daccapo, di nuovo) a lottare, a cui rivolgiamo il nostro appello: diamo vita e voce a CIPì, tutti insieme. Facciamoci sentire.

sabato 26 settembre 2009

L’istruzione non è un’eccedenza.

Il/la docente precario/a: chi è?
E’ quel/la docente che non ha un posto (fisso) in una scuola (fissa), bensì viene chiamato dalla scuola che ne ha bisogno per un incarico annuale o più breve.
Quando un posto fisso è vacante (per es. in seguito ad un pensionamento) e nessun insegnante viene assunto dallo Stato per ri-occuparlo, allora esso viene coperto da un/a docente precario/a con incarico annuale. Quando invece un docente si assenta temporaneamente per vari motivi (per es. una gravidanza) allora viene chiamato un/a docente precario/a con incarico temporaneo.
Tutte/i le/i docenti precarie/i sono inserite/i in una graduatoria provinciale pubblica alla quale si accede solo in seguito al conseguimento di una abilitazione all'insegnamento.

Siccome lo Stato per risparmiare copre con nuove assunzioni solo una minima percentuale dei posti vacanti, negli ultimi anni il numero delle/dei precarie/i nelle scuole è enormemente lievitato.

Come si vede, i/le docenti precari non costituiscono una eccedenza rispetto al numero degli insegnanti necessari al normale funzionamento della scuola: al contrario, sono una componente indispensabile senza la quale, semplicemente, la scuola non potrebbe andare avanti.
Pensate infatti che cosa accadrebbe se le cattedre dei docenti che vanno in pensione rimanessero vacanti o se nessuno provvedesse a sostituire l’insegnante che si assenta per una gravidanza, tanto per fare un esempio.

E' su queste risorse essenziali che la ministra Gelmini ha operato il suo taglio dissennato.
Come ha fatto?
Semplice: ha messo più alunni in ogni classe (fino a un massimo di 33), ha ridotto le ore di lezione (per es. 2 ore in meno di materie letterarie alle medie) e ha aumentato le ore di lavoro dei docenti occupati (da 18 a 24). Ha ottenuto così una drastica diminuzione del numero dei posti disponibili nella scuola.

Risultato: 40.000 docenti precari senza lavoro in quest'anno scolastico; 150.000 previsti entro il 2011.
Il più grande licenziamento in tronco della storia della Repubblica italiana.
In tronco: perché i docenti precari in quanto non-assunti godono solo di non-diritti e li si può utilizzare e rottamare a piacimento secondo le esigenze del governo di turno.

Perché la Gelmini ha operato questi tagli dissennati?
Certo non per migliorare l’efficienza della scuola pubblica. E’ difficile pensare che diminuire i finanziamenti e il personale migliori il funzionamento della vita scolastica.
Certo non per migliorarne la qualità. Con 30-35 studenti per classe la qualità della didattica, il rapporto educativo, la valutazione, la disciplina: che fine faranno?
Certo non per aumentarne la sicurezza. Con l’incremento del numero degli studenti per classe le norme di sicurezza indicate dalla legge 626 saranno sistematicamente violate.

La scuola della Gelmini è più inefficiente, più scadente, più insicura di prima.

La ragione di tanto sfacelo è una sola: il risparmio.
Un risparmio a senso unico - si aumentano dell’11% le spese militari, ma si tagliano di otto miliardi di euro (sì, avete capito bene: otto miliardi di euri) quelle destinate alla pubblica istruzione.
Un risparmio mirato. La distruzione della scuola pubblica e la privatizzazione dell’intero sistema scolastico sono le linee-guida della politica scelerata del governo.

Grazie alla Gelmini, la percentuale del PIL che l’Italia investe nella pubblica istruzione è la più bassa di tutti i paesi dell’OCSE (il 3,9% contro una media del 5,5%) proprio mentre l’OCSE indica l’investimento nella formazione come l’unica via d’uscita dalla crisi planetaria.

E allora in gioco non ci sono “solo” 150.000 posti di lavoro (e scusate se è poco) cancellati in nome del risparmio a senso unico, ma anche e soprattutto la sopravvivenza stessa di un sistema di istruzione pubblico, baluardo indispensabile contro la barbarie dilagante e l’ignoranza di regime.

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